Il mio podio di Vinitaly: tre vini, tre storie, mille emozioni.

di Gianluca Oberoffer
Ore 5:40 di Domenica 9 Aprile, suona la sveglia. Tutte le volte che sento Sunday Morning dei Velvet UndergroundI (sì, è la mia sveglia, scusatemi) ho sempre una reazione spontanea molto nervosa. Ma questa volta no, perché è il giorno in cui comincia Vinitaly, edizione 2017. È da molti definita la 50ª+1 edizione, forse proprio perché è la mia prima volta alla più grande fiera internazionale sul vino in Italia? No, purtroppo credo alle coincidenze. In ogni caso, la mia prima esperienza a Vinitaly è stata sicuramente molto interessante, e spero vivamente di poterci tornare il prossimo anno. Fine.

Come fine? Beh, sì. In un certo senso ho finito.

In questo breve (ma intenso, ndr) articolo non voglio annoiarvi scrivendo La guida del perfetto visitatore di Vinitaly, oppure Le 10 cose da fare assolutamente a Vinitaly (o meglio sarebbe descrivere le cose da non fare, in quel gran casino). Non avrei, comunque, le capacità per farlo, considerato che sono un semplice appassionato e alquanto neofita. Questo articolo vuole essere una versione estesa di tutti quegli appuntini che scrivo sul mio “quadernetto da viaggio” che, da quando mi sono avventurato in questo meraviglioso mondo, non lascio mai a casa. In aggiunta a questo, tutto ciò che si genera nella mia testa, nella mia pancia e, perché no, nel mio cuore. Una sorta di confessione, quella chiacchierata che faresti quasi esclusivamente al tuo migliore amico.

Voglio parlarvi di tre vini (se dovessi parlare di tutti quelli che ho assaggiato e che ho apprezzato, non credo basterebbe una giornata!) che mi hanno particolarmente colpito: non parlo solamente di quello che ho trovato nel bicchiere, ma di storie, di volti, di ambienti. Per me il vino non è solo vino, è tutto quello che gira attorno ed esso.
Ho immaginato di stilare una sorta di classifica (molto simbolica, s’intende), un mio personale podio di Vinitaly, con tanto di annuncio in stile speaker di pugilato: sta a voi, quindi, fare quella vocina un po’ graffiata da quei vecchi microfoni e acclamare i tre pesi massimi che sto per presentarvi.

Sul primo e più basso gradino del podio troviamo il Prosecco DOC “Sui Lieviti” Gregoletto, un prodotto genuino, all’antica e in continua evoluzione. Si presenta di un bel color giallo paglierino e con un perlage molto fine ma persistente. È un vino essenzialmente leggero, al naso presenta sentori di fiori gialli e frutta acerba, con una delicata percezione di crosta di pane: profumi destinati ad evolversi, col tempo grazie al continuo contatto con i lieviti. Il metodo della rifermentazione sui lieviti, o “sui lie” per dirla alla francese e detto anche col fondo, è quello più antico per produrre il prosecco. Il vino così prodotto può essere degustato in due modi: decantandolo, ossia rimuovere i sedimenti travasando il vino in una caraffa (come si farebbe per un rosso d’annata) oppure al naturale (così come ho avuto l’onore di assaggiarlo), cioè shakerando la bottiglia mescolando così lieviti e rendendo il vino naturalmente torbido.
Ciò che mi è rimasto impresso, oltre al fantastico bicchiere, è sicuramente la personalità di Giovanni Gregoletto, figlio di Luigi Gregoletto nonché il creatore del mio tanto amato Prosecco “Sui Lieviti”. Giovanni, autore di libri che contengono molteplici divertissement sugli aspetti culturali e non legati al mondo del vino e ai suoi fruitori. Tanti, tantissimi racconti (alcuni dei quali, sono stati meravigliosamente riassunti durante la mia degustazione, ad esempio “chi è l’inventore del tappo a corona?”) in cui traspare, sempre e comunque, l’ingegno del viticoltore. Una personalità che non si dimentica, soprattutto se accompagnata da un vino così.

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Sale sul secondo gradino del podio il Collio DOC Friulano 2015, dell’azienda vinicola Schiopetto. Pur non essendo un grande estimatore dei vini bianchi secchi, questo mi ha decisamente sorpreso: giallo paglierino brillante, con riflessi dorati. Un profumo eccezionale e molto complesso, con aromi che ricordano frutti gialli (pera, albicocca) e un finale ammandorlato. Al palato molto corposo e fresco, completa tutti i sentori percepiti dall’olfatto. Un bianco di ottima fattura, dotato di una persistenza molto lunga e che (con gioia, direi) mi ha accompagnato per qualche minuto per la fiera. Ad accogliermi sono i ragazzi e le ragazze dell’azienda Mario Schiopetto, dal 2014 di proprietà della famiglia Rotolo, con sede nello splendido teatro di Spessa di Capriva. Mario volle a tutti i costi piantare uve tocai friulano, ormai ben oltre trent’anni fa, meravigliosamente esposta a sud, da cui nasce un Friulano così speciale.

“Il vino per me è vita” – Mario Schiopetto

Proprio attorno a queste parole gravità la filosofia dell’azienda, che non è stata snaturata dal passaggio di proprietà. Tutte le attività di Mario e dell’azienda sono state dettate dal “desiderio di dar voce al territorio attraverso il vino, per poter raccontare una storia in ogni bicchiere” e si può affermare assolutamente che il risultato è ottimo: senza dubbio, la storia di quel Friulano me la ricorderò per molto tempo.

Sul più alto gradino del podio prende il posto, con grande maestosità, il Torgiano Rosso DOCG Rubesco “Vigna Monticchio” Riserva 2012 Lungarotti. Si presenta con un colore rosso rubino con riflessi granati e una struttura molto complessa, che donano eleganza già al primo impatto visivo; completano l’opera un bouquet di viole e frutti rossi maturi, con finale speziato, note di pepe, chiodi di garofano e tabacco. Al palato caldo, rotondo e robusto, una buona acidità e un tannino ben gestito, regala ancora un finale speziato e una meravigliosa persistenza. La famiglia Lungarotti, proprietaria dell’omonima azienda vitivinicola nel cuore di Torgiano, ha un ruolo centrale per quanto riguarda i viticoltori umbri, ponendosi come “motore propulsivo” che rende celebre la regione in Italia e al di fuori del suoi confini. Questo suo cavallo di battaglia è manifesto di una viticoltura fortemente legata alla tradizione, che riesce a fondere con essa le più moderne tecniche enologiche. Ad accogliermi è Antonio Carlisi, responsabile Marketing e Ospitalità all’interno dell’azienda, che ha sapientemente saputo tramandarmi l’amore per la terra e per le tradizioni di questa famiglia “allargata” che definisce il vino come “elemento forte di un sistema di promozione integrata che garantisce un insieme produttivo e turistico di straordinaria qualità”.

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Hanno completato la degustazione e la chiacchierata, altri ottimi prodotti come il Sagrantino di Montefalco 2012 e il Sagrantino di Montefalco 2012 Passito (me li sogno ancora adesso, lo ammetto), per non dimenticare il neonato ILBIO, figlio della recente certificazione biologica dell’azienda.

Questo è quanto: tre vini, tre chiacchierate, tre ricordi, insieme alle altre numerosissime scoperte e conferme che ho avuto l’onore di trovare all’edizione 2017 di Vinitaly.

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